Via Francigena. Giorno 54 – da Buonalbergo a Troja

La sveglia suona alle 6.00, ma sono già sveglio da un po’. Questa notte è stata tormentata, forse ogni tanto penso troppo. Penso così tanto che non sono nemmeno capace di riaddormentarmi quando, di soprassalto, mi sveglio nel pieno della notte.

Ho aspettato il suono della sveglia solo per decidere di alzarmi e iniziare nel silenzio della stanza a preparare lo zaino. Senza nemmeno il solito caffè mi sono messo in viaggio. Ho affrontato la dura salita fino alla piazza di Buonalbergo, nessuno per le strade, solo qualche ragazzo che sta andando a prendere il bus per la scuola.

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Fumo avidamente la mia prima sigaretta, mentre faccio mente locale se ho recuperato tutto dalla stanza. Trovo un bar, mi ci infilo e finalmente prendo l’agognato caffè. Esco e fumo di nuovo, mentre cammino. La giornata è sul nascere. Il sole però se ne sta nascosto dietro una spessa coltre di nuvole grigie. Non so se questo è un bene o un male. Sicuramente se sorgesse sarei più carico, ma così dovrei affrontare le salite di oggi con la maglietta meno impregnata di sudore. Inizio a seguire la mappa sulla guida. Il primo tratto della Via mi porta a Casalbore, ci vuole poco meno di un’ora, ma ancora non mi sento tranquillo. E se ieri avessero avuto ragione? E se non arrivassi a Troja in tempo per questa sera? Mi scrivo messaggi con mio fratello, mentre inizio a camminare sulla provinciale 109. Quasi nessuna macchina sulla strada, meglio per me. Svolto a destra e inizio una lunga e lenta discesa fino a che la strada diventa di sassi e fango, fino al torrente Ginestra che guado togliendomi le scarpe perchè ormai sono bucate.

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Mi fermo per asciugarmi e guardo di fronte a me la prima vera dura salita della giornata, corta, ma veramente ripida, sempre fatta di sassi e fango. Michele al telefono ieri me lo aveva detto, la presenza o meno di fango sarebbe stata la cosa che mi avrebbe pregiudicato e non di poco l’intera giornata. Arrivo a Malvizza di sopra e due grossi cani pastore mi danno il benvenuto ringhiandomi contro. Passo attraverso senza battere ciglio, ma dentro, loro lo sentono che in realtà mi intesisco. Non ho paura, ma non si può mai sapere come reagiranno. Dopo il minuscolo borgo prendo la sterrata verso le bolle. Delle pozze dove da un piccolo cratere fuoriesce del fango.

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Dalla mappa mi rendo conto che ora inizia un lungo pezzo tra i campi, o meglio tra i colli. Intorno a me il silenzio continua ad urlare. Non sono per nulla tranquillo, ma procedo a passo svelto. Dopo circa mezz’ora l’erba inizia a farsi sempre più alta, in pratica sto seguendo le tracce lasciate dai trattori al loro passaggio, intanto salgo di quota. Non c’è un segno, una freccia, nulla che mi indichi la via. Mi affido totalmente al mio istinto, temo di sbagliare e qui non c’è nessuno però che mi potrebbe aiutare. Sbagliare strada significherebbe poi tornare indietro e farne in più. Il panorama attorno è splendido, ma il sole com’è già accaduto, nasconde tutti i colori dei campi.

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In lontananza sento i colpi di fucile dei cacciatori. Ma allora non sono solo, penso, infatti poco dopo ecco due bei cani da caccia spuntare dagli arbusti con la lingua a penzoloni. Ne accarezzo uno, in breve arriva anche il padrone. Scambiamo due battute e poi riprendo a camminare. Il fango inizia a pesare sotto le scarpe, in verità in alcuni punti il piede mi sprofonda fino alle caviglie, ma non fermo e continuo a pedalare. Scendo fino al secondo guado segnato sulla mappa. Sfrutto il momento e mi do una bella pulita. Risalgo l’altro versante ed arrivo ad un punto dove incrocio un tratto di vecchio asfalto. Controllo la mia posizione sul navigatore, sembra tutto combaciare con ciò che indica la guida. Tolgo lo zaino per un momento e cerco di rilassarmi. Respiro profondamente, immancabilmente fumo. Mi obbligo a sorridere, se sorridi anche tutto il resto ti sorriderà, mi ripeto. Riparto e, dopo un paio di svolte, inizio una nuova salita su una strada in cemento che porta fino ad una masseria. Di lontano si sente un trattore, la fatica inizia a sciogliere tutti i miei dubbi e la mia mattinata cupa. I cani mi sentono passare, ma è troppo tardi, quando il primo di loro si affaccia sul vialetto sono già passato da un pezzo. Cammino rasente ad una siepe per poi svoltare di nuovo a sinistra in salita. Passo una seconda masseria, questa volta devo aggirare la costruzione principale da vicino. Infatti anche qui due grossi cani mi attendono sulla via. Abbaiano e ringhiano, gli fischio come per chiamarli, ma loro prendono ad abbaiare ancora più decisi. Alzo la voce e così finalmente si spostano, permettendomi di passare. Finalmente arrivo sotto le grosse pale eoliche che vedevo da un po’ e la Via si addolcisce. Dietro di me vedo le vallate della Campania, davanti gli ultimi colli da affrontare, ma è già Puglia. Butto lo zaino nuovamente a terra, se mi vedesse Paolino penserebbe che sono impazzito. Fino a qui non l’ho quasi mai voluto fare. Questa volta lo faccio e mi siedo sull’erba accanto. Aspetto un segno, qualcosa che mi dica se c’è qualcosa che non va, eppure niente si muove. Il vento suona nelle mie orecchie, poi improvvisamente si aprono le nuvole, prima un pezzo azzurrissimo di cielo mi dà il suo buongiorno, poi arriva il sole, caldissimo. Respiro a lungo, mi godo il senso di libertà che mi pervade tutto il corpo, lo stomaco in primis mi si sblocca e mi rilasso davvero. Poi mi alzo nel mezzo del nulla e inizio una danza leggera, poi sempre più veloce. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, ma rido. Rido come un invasato, sto per attraversare il confine e per entrare nella nona e ultima regione di questo magnifico viaggio. Continuo a ballare, le pale eoliche sono le uniche testimoni di questa mia traformazione, il sole splende sempre più caldo e il vento continua a suonare per me le dolci note della libertà, sono libero, sono libero e in cammino. Cado sdraiato sul prato e vedo in un colpo solo tutta la carrellata dei volti delle persone che ho incontrato fino a qui. Mi rialzo e inforco nuvamente o zaino.

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Inizio a camminare con il mio passo spedito verso il Villaggio San Leonardo di Faeto, non manca molto, circa solo tre ore e sarò a Troja. Ho fame, ma resisto. Salgo fino a Masseria San Vito, dove la salita diventa più dolce. Mi fermo alla fontana, mangio qualcosa e riempio la borraccia dell’acqua. Arriva una macchina. Scendono una signora con il figlio e iniziano a riempire taniche di acqua. Sorrido loro e la signora ricambia. Con un forte accento pugliese mi chiede se ho già mangiato. Annuisco con il capo e intanto continuo a sorridere. Mi sento finalmente in pace. Intorno alla masseria tanti fiorellini gialli riempiono i campi e splendono nel sole. Dopo poco inizio a scendere dall’altra parte.

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Gli appennini sono finiti e con loro anche le ultime montagne di questo cammino. Delle mucche al pascolo e il suono dei campanacci sono la prima cosa che mi colpisce della Puglia. Mi volto e non vedo null’altro che le salite che ho fatto prima, saluto con un cenno la Campania e ringrazio quella terra che insieme ai suoi abitanti mi ha dato tanto.

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Inizio i tornanti e in lontananza vedo Troja, ecco è la che devo andare. Sono circa le 14.00 e di strada da fare ne manca ancora molta. Avviso Michele che nonostante tutto ce la farò ad essere all’ostello per oggi, anche se in alcuni momenti ho temuto di non farcela. Ce la farò. Sento Paolino che nel frattempo è già arrivato prendendo un bus da Benevento questa mattina presto e camminando da Bovino. Ci diamo appuntamento all’ostello. Quando arrivo ai piedi di Troja sono le 16.00 e sono sfinito. Sento casa per telefono e racconto un po’ della mia giornata, mentre davanti a me i cieli della Puglia mostrano il loro strano effetto di infinito che mi lascia sbalordito. Molte nuvole, senza fine, si perdono all’orizzonte dando a quest’effetto un senso pazzesco.

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Quando salgo in città riesco a malapena a prendere una birra con Michele e Paolo, senza parlare troppo. Sono ancora sotto effetto della giornata di cammino che mi ha trasformato. La Via Francigena è stata in grado di fare anche questo, ha messo pace dentro me laddove pace non c’era. Ho messo ordine alle mie idee e ora posso proseguire fino alla fine. Questi due giorni da solo sono stati meravigliosi. Ho camminato dentro a delle caroline di ogni colore, contornate dalle mie emozioni e sensazioni. Sono stato accudito, accolto, ho riso, ho pianto e ho ballato. Mi sono trasformato, sono stato trasformato dalla strada, dalla fatica e dalla bellezza della natura del nostro paese. La libertà. L’ho sentita, per un momento l’ho toccata per davvero.

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Quasi non respiro più, ma ce l’ho fatta, sono a Troja e ora manca solo la Puglia per finire questo meraviglioso viaggio lungo il nostro paese, lungo la Via Francigena.

Viva la vita, in ogni sua forma e colore.

D.

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