Cosa vuol dire essere in viaggio? Cosa vuol dire camminare lungo le strade del proprio paese? Cosa significa essere in cammino? Oggi è uno di quei giorni in cui ho dato risposta per l’ennesima volta a queste domande. Anzi la Via del Sud mi ha risposto, io ho solo dovuto avere gli occhi per rendermi conto di quali fossero.
Quando abbiamo lasciato Artena questa mattina una nebbia fitta copriva l’intera vallata sotto di noi, tanto che un po’ mi ha ricordato la brianza in autunno o in inverno.
Il sole cercava di sorgere, nonostante tutto, ma non scaldava per nulla, così appena scesi in piazza del paese ci siamo infilati come al solito nel primo bar per fare colazione. Questa volta solo qualche anziano era seduto ai tavoli del bar e sicuramente nel vedere due pazzi con lo zaino arrivare gli ha dato qualcosa di cui parlare durante la giornata. Dopo il caffè mi sono fatto sistemare la barba visto che sono più di quaranta giorni che non la toccavo, mentre Paolino era impegnato nella lettura dei quotidiani. La sua passione per ciò che accade nel mondo è davvero da ammirare, perché invece io mentre sono in cammino cerco di estraniarmi il più possibile da quella che è la vita normale, tanto che spesso perdo il senso dei giorni della settimana, delle ore e seguo solo un ritmo biologico delle cose. Quando ho fame mangio, quando ho sonno dormo e quando voglio cammino. Tutto quello che mi circonda rimane per me tutto ciò di cui voglio sapere, tutto ciò che vedo è il piccolo mondo che mi porto dietro giorno per giorno. Partiamo leggendo sulla mappa cosa ci sarebbe dovuto aspettare lungo la strada, cerchiamo qualche segnale, ma purtroppo in questa parte del cammino non troviamo nulla. Dopo un’ora sembriamo persi, ma poco importa perché troviamo un forno dal quale fuoriesce un profumo di pane caldo e nel quale ci fermiamo a fare rifornimenti per la giornata. Dopo una lunga parte su asfalto arriviamo a Colleferro. Qui Paolino mi dice che anche per oggi lui si sente arrivato, le gambe dure non gli permettono di continuare, prenderà anche oggi un bus per raggiungere Anagni, la città dei papi. Proseguo da solo e finalmente la giornata si scalda, il sole inizia a bruciare e un po’ rimpiango la nebbia, ma solo un po’. Uscito da Colleferro il panorama inizia a farsi molto bello, le campagne attorno al paese sono molto colorate e mi riempiono gli occhi.
Per cercare di mettere pace nella mia testa ascolto un po’ di musica, così da darmi il ritmo per camminare e mettere un sottofondo a quello che vedo. Ad un tratto una macchina si ferma a lato della strada, spesso accade, ma solitamente sono solo persone che rispondono al telefono o che buttano qualcosa. Questa volta invece no. Dall’auto spunta Silvia, una delle ragazze che ieri era da Don Daniele. Lei ha 38 anni ed è uno dei medici che accompagnerà il prete in Etiopia nelle prossime tre settimane. Si offre di darmi un passaggio che, ovviamente, rifiuto. Allora mi propone un pranzo. Vista l’ora, accetto. Così andiamo a casa sua, dove conoco suo padre e pranziamo. Inevitabilmente i discorsi finiscono sui viaggi e sulle avventure che entrambi abbiamo avuto. Come posso non parlarle di uno dei miei viaggi, forse più bello, di sicuro il più importante. Il cammino portoghese, che per me è stato una svolta di vita, il viaggio in cui ho conosciuto la mia compagna. Le racconto tutto di quel cammino e gli occhi suoi diventano lucidi e capisco che qualcosa non va, o che il punto “relazione amorosa” è uno di quei tasti dolenti. Mi racconta un pochino la sua piccola disavventura, ascolto con pazienza e mi sembra di rivedere me qualche anno fa. Le rispondo a fine discorso che deve avere fede nel futuro e che quando meno se l’aspetterà arriverà la persona giusta per lei, anche se per ora non le sembra minimamente, anche se la ferita scotta ancora. Dopo il pranzo, ringrazio, saluto lei e il padre e mi rimetto in cammino.
Anagni non è poi troppo lontana, finalmente ad un certo punto ritornano anche i segnali sui pali dei cartelli. Quando Paolino mi contatta per dirmi che è gia in città, mi manca circa poco più di un’ora per arrivare. Penso nuovamente a Silvia e alla sua storia e mi sento molto fortunato, una volta di più. Inzia la salita fino al centro di Anagni, che nulla ha da invidiare a quella di Radicofani, ma non importa. Gocciolando sudore da tutti i punti da cui è possibile farlo e ansimando. Quando arrivo in cima sento Paolino e mi dice che si è già sistemato dalle suore cistercensi della Carità, presso il palazzo di Bonifacio VIII, noto qui come il palazzo dove è avvenuto “lo schiaffo”. Mentre attraverso il centro, Anagni mi mostra tutti i suoi vicoli più nascosti e l’aria medievale che ancora conserva perfettamente.
Che bello il nostro paese penso. Quando arrivo dalle suore vengo accolto con calore e grandi sorrisi da suor Mary. Mi mostra dove appoggiare lo zaino e dove poter riposare. Oggi finalmente abbiamo un letto. Lo avevo detto a Paolino, andiamo in crescendo, dal pavimento della prima sera, al materasso per terra della seconda, fino ad il letto di oggi. Affidarsi e confidare, questo credo voglia dire essere pellegrino e avere gli occhi per capire quanto amore e quanta bellezza ci sia nella vita che c’è intorno a noi.
Viva la vita, sempre, in ogni sua forma e in ogni sua espressione. Viva l’amore che salverà il mondo.
D.