Via Francigena. Giorno 68 – da Lecce a Carpignano Salentino

Oggi è stata una giornata davvero intensa, dal punto di vista della strada percorsa, degli incontri e dell’accoglienza che abbiamo ricevuto. Il tragitto da Lecce a Carpignano Salentino non è così lungo, poi visto la mia esigenza di fermarmi più spesso abbiamo anche fatto qualche variazione al percorso riportato sulla guida

e devo dire che questo ci ha giovato in termini di persone incontrate e anche un po’ sulla distanza che si è accorciata, ma di pochissimo. Quando siamo usciti dal B&B del quale siamo stati ospiti abbiamo dovuto camminare per circa mezz’ora per riprendere la Via Francigena così come è indicata sula mappa, ovviamente di frecce, segnali o adesivi nemmeno l’ombra. Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. L’occhio ha anche perso la capacità di riconoscerli. Usciti finalmente dalla grossa città abbiamo fatto la prima deviazione verso Castellino di Lecce.

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In centro paese siamo stati testimoni della partenza di una maratona molto sentita da queste parti. Il numero degli iscritti è davvero alto. Squadre di atleti arrivano da tutta la zona per questa manifestazione. Al bar, dopo aver saputo la nostra storia, ci hanno offerto la colazione. Pasticciotto leccese fatto in casa e capuccio per entrambi. Quando abbiamo ripreso il cammino, siamo stati fermati al punto sosta della maratona dove ci hanno regalato torte e frutta. In cambio abbiamo dovuto farci scattare qualche foto, una situazione esilarante, nemmeno fossimo dei campioni di qualche sport. Ma il bello di essere pellegrini sta proprio qui, c’è chi ti vede come un barbone, chi invece ti vede come una persona da ammirare. Non c’è una via di mezzo. O ci odiano o ci amano. In quasi tre ore senza sosta poi lungo una strada asfaltata quasi completamente vuota, visto che è domenica, siamo arrivati nel centro di Calimera.

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Qui incomincia la Puglia di origini greche. Michele ci aveva raccontato che è come una piccola isola linguistica a sè e parlano un dialetto diverso da tutto il resto della regione, mantenendo alcune parole di orgine greca. Quando ragiono su queste cose e penso a tutti i dialetti che ho sentito parlare mi sento ancora più fortunato di far parte di questo paese così piccolo, ma così stupendamente vario. Nella piazza affollatata di persone sta iniziando un motoraduno. Sarebbe anche stato bello assistere alla sfilata di bolidi arrivati per l’occasione, ma siamo stanchi e il frastuono non fa assolutamente per noi. Dopo un paio di lattine e altrettante sigarette ci siamo rimessi in cammino.

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Lungo la strada abbiamo iniziato a vedere le Pajare, tipiche costruzioni salentine simili ai trulli, ma con il tetto piano. Anche per questa sera siamo sistemati, penso mentre camminiamo. Ieri abbiamo chiamato il numero sulla guida per trovare accoglienza. Questa è la sorpresa della giornata. Il prete che organizzava l’accoglienza, Don Giusepe, è morto pochi mesi fa. Il suo numero ora è stato affidato a Said, un ragazzo afghano che vive nel centro di accoglienza che veniva gestito da don Guseppe. Al momento della chiamata mi dice che il nuovo parroco di Carpignano ora non fa più accoglienza per i pellegrini, ma che, se per noi non ci sono problemi, lui può ospitarci al centro per una notte. Da ieri sera ci interroghiamo su che tipo di centro sarà. Ma Said mi è sembrato tranquillo e molto sicuro sul fatto che possiamo dormire presso di loro. Per cui non mi faccio troppi problemi. Arrivati a Martano, ci prendiamo finalmente la pausa relax che vogliamo noi.

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Sulle panche della piazza antistante alla chiesa del paese, in un silenzio che pare surreale, vicino ad un bar e lontano da molti occhi indiscreti. Mangiamo con calma, poi Paolo riposa un po’, mentre io telefono a mia madre. Riprendiamo il cammino rimettendoci sulle orme del tracciato della Via Francigena descritto sulla guida. Attraversiamo delle strade secondarie che ci portano fino all’antico tratto di Via Traiana – Costantiniana.

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Vediamo le antiche tracce dei carri che hanno scolpito la roccia, facciamo qualche foto. Quando incontriamo la storia e abbiamo la fortuna di camminarci sopra ci sembra di tornare indietro nel tempo. Infine arriviamo a Carpignano.

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Sono le 16.00 passate. L’appuntamento con Said è per le 17.00. Ieri al telefono ci ha detto che ci sarebbero venuti a prendere in macchina visto che il centro di accoglienza si trova a Maglie, a circa altre due ore di cammino fuori percorso. In piazza a Carpignano incontriamo Salvi, un ragazzo che coopera con il centro e, mentre ci accompagna verso Maglie, ci racconta la storia di don Giuseppe e del suo centro. AGIMI, questo è il nome del posto dove andremo, è stato costruito negli anni 90 per ospitare gli immigrati albanesi e negli anni a seguire ha accolto molte altre persone di diverse nazionalità. Purtroppo dalla morte del don tutto si è bloccato. Solo Said e la sua famiglia sono rimasti a gestire tutto, non ci sono ospiti, ma in compenso c’è un grande lavoro da fare tra le campagne circostanti. Quando arriviamo veniamo accolti da Said, il quale ci dice che ha già preparato il caffè. Ci mette a sedere, ci offre dell’acqua fresca e poi ci mostra la stanza. Il posto assomiglia in tutto e per tutto ad uno dei migliori ostelli per pellegrini che si possono trovare sulla Via Francigena dalle Alpi a Roma, solo che la struttura è molto meglio distribuita ed ha un giardino immenso, nel quale si può passeggiare liberamente tra eucalipti, alberi da frutto, un’orto, un piccolo anfiteatro e un pozzo. Tutto costruito dalle mani di volontari e immigrati che hanno lavorato fianco a fianco per lungo tempo. Qui don Giuseppe più che fare una semplice accoglienza, inseriva le persone nella società. Insegnava loro la lingua, permetteva loro di studiare e prendersi la licenzia media, dava loro un spazio dove costruirsi una vita, senza prendere un soldo dai sussidi statali. Said mentre ci racconta tutto questo quasi si commuove. Insieme a lui vivono Samira, la moglie e i suoi due figli Mobina e Sanjar. Loro sono di fede musulmana, ma quando ci parla di don Giuseppe, Said sottolinea sempre che per lui era come un padre. E che vuole portare avanti il discorso dell’accoglienza, così come lo ha imparato da don Giuseppe. Chiunque ne abbia necessità può venire qui e restare per un po’ facendo un’offerta o lavorando per il centro. Sono davvero colpito. Senza parole. Si parla tanto ai nostri giorni di questi argomenti e noi ci ritroviamo ad essere ospitati da una famiglia afghana scappata in Italia dalla guerra in corso nel loro paese sei anni fa. Samira è la più silenziosa. Nei suoi occhi traspare sofferenza. Said sorride, ma anche lui, quando si racconta a cena, è un ragazzo che ha dovuto sopportare molte situazioni drammatiche. La fuga in Turchia. Il rischio di essere catturato e venduto ai Kurdi, i quali tengono gli immigrati come ostaggi, chiamando a casa loro (a chi ne ha ancora una) chiedendo un riscatto per la liberazione. I giorni di cammino, la speranza di arrivare in Grecia sani e salvi. Infine (infine…) il viaggio in gommone nel mese di ottobre su un mar Adriatico agitatissimo verso l’Italia. Da sei anni vive presso il centro e deve molto a don Giuseppe, per questo si è preso in carico tutta la gestione. Sono in attesa ora che venga istituita la fondazione per la quale tutto era stato avviato quando il buon prete era ancora in vita. Quando ci sediamo a tavola, la troviamo imbandita con ogni ben di Dio. E’ la tavola più ricca di cibo che troviamo da quando siamo in cammino. Anche di quelle negli ostelli che precedono Roma. Mangiamo ascoltando incuriositi i racconti di Said. Per la prima volta non siamo noi a dover rispondere, anzi facciamo domande su domande. Quando ci ritiriamo nei letti, mi viene da piangere. Come essere umano, mi sento in colpa. La mia testa si rempie di domande. Prima di tutto mi chiedo cosa c’è di diverso tra me e lui. Sarei mai stato capace di una cosa del genere io? Avrei mai avuto il coraggio che ha avuto Said? Quante sono le persone piene di scrupoli che cercano di arricchirsi sulla vita delle persone che scappano dalle guerre? Dai paesi che in nome della pace occupano altri paesi solo poi in realtà per meri interessi economici, agli scafisti, i trafficanti di esseri umani, a quelli che qui in Italia tengono bloccati gli immigrati nei centri, perchè ogni immigrato garantisce un sussidio al padrone del centro. La mia fortuna è quella di essere nato qui e non lì? Le lacrime scendono copiose. Lacrime di impotenza. Quando la realtà ti viene sbattuta in faccia è diverso dal vederla scorrere per pochi minuti su di uno schermo tv. Alla fine di tutto noi stiamo venendo ospitati da persone che sono nel nostro paese come immigrati e non dal nuovo parroco di Carpignano. Dov’è la chiesa che tanto predicano questi cosiddetti preti? Noi pellegrini su un cammino cristiano ospitati in un centro di accoglienza gestito da una famiglia musulmana. Non ho altre parole da dire, se non grazie. Grazie di cuore amico mio. Torneremo a farti visita. Torneremo a vedere quel tuo sorriso, nonostante tutto, radioso. Grazie.

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Senza parole, davvero. Spero di avervi fatto pensare e di avevri messo dei dubbi. Gli stessi che sono venuti a me questa sera.

Meno tre, alla fine, ma ho altro per la testa ora.

D.

7 Replies to “Via Francigena. Giorno 68 – da Lecce a Carpignano Salentino”

  1. Ed io grazie lo dico a te pe aver raccontato questa cosa bellissima che ti è successa! Dovrebbero esserci più storie come questa…il mondo dovrebbe essere pieno di realtà come questa! Anche io avrei fatto un sacco di domande, perché sono terribilmente curiosa di conoscere le persone sempre nel rispetto delle loro vite! Perché è necessario conoscere e Said è stato davvero gentile a raccontarsi a voi, immagino che non sia facile ricordare tante delle cose che gli sono successe! Perchè noi non siamo in grado di creare realtà come quella che hai raccontato in questo post? Eppure a volte basterebbe così poco…mi hai dato da pensare…

  2. Uno dei più bei reportage che letto ultimamente. Non solo per la “componente viaggio”, ma per le riflessioni che seguono la vostra esperienza ed i momenti di vita raccontati.
    Io ripeto queste cose da anni, ma di rado vengo ascoltata, perché le mie parole sono scomode e non riflettono quelle della massa.
    Per fortuna il viaggio apre la mente e, esperienze come le tue, rese pubbliche con un blog, diventano una testimonianza che, mi auguro, leggano tutti gli italiani.
    A presto,
    Claudia B.

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